venerdì 4 settembre 2020

Il Cristo Deposto di Matteo Bottiglieri

Inauguro la sezione artistica italiana con una delle opere d'arte più belle di Capua: Il Cristo Deposto dello scultore Matteo Bottiglieri.

La statua è parte di un trittico comprendente il Cristo Velato, conservato alla cappella di San Severo, a Napoli, e il Cristo morto, situato all'interno del santuario di Santa Maria delle grazie, a Procida.


Il Cristo deposto del Bottiglieri (artista salernitano vissuto nella prima metà del 700)è espressione della corrente denominata barocco napoletano. 
Il barocco napoletano aveva, fra i suoi parametri, l'utilizzo di sgargianti decorazioni marmoree e sarà, difatti, il marmo il principale materiale utilizzato per fissare in scultura sia il Cristo velato di Sammartino sia il Cristo deposto di Bottiglieri.

La statua è conservata nella cripta sotterranea del Duomo di Capua, principale luogo di culto dei cittadini del piccolo centro.
Il freddo marmo ben si abbina all'espressione statica di un Cristo che si è fatto umano, per rendersi quanto più vicino a noi. Non mostra cenni di dolore, né di estati, è semplicemente un uomo che accetta la morte, come fine dell'esistenza. 
Proprio in questo suo sereno abbandono, sta la grandezza di Bottiglieri: Cristo, il salvatore, colui che ha dedicato la sua vita alla salvezza dell'umanità, si fa infine egli stesso uomo, per rendersi eguale a coloro che sono stati suoi devoti.
L'assenza di particolari segni di dolore o gioia riesce nell'intento di comunicare un uomo come gli altri, sceso sulla Terra per propagare amore.




Tutt'altra storia quella raccontata dal Cristo Velato, un'immagine di un Cristo sofferente, che trasmette l'immane sofferenza provata in seguito alla sua crocifissione.
Gli spettatori rimangono ancora oggi sbalorditi dinanzi a un dolore così ben rappresentato.
Il velo di marmo creato da Sanmartino è così abilmente manufatto da aderire perfettamente alle forme del corpo che ricopre. Di qui, la leggenda secondo la quale, il committente dell'opera, Raimondo Di Sangro, alchimista, avrebbe svelato il segreto alchemico allo scultore campano. 
Il popolo narra di un vero velo che l'artista avrebbe reso di marmo, attraverso un processo di magia e scienza fuse assieme.

Ultimo elemento del trittico è il Cristo morto, realizzato da Carmine Lantriceni.
Anche per quanto riguarda questa statua, v'e' una leggenda popolare che racconta come tale opera sia stata frutto della rabbia di un carcerato. In realtà, in tale leggenda, si cela un pizzico di verità.
L'autore del capolavoro era, come già anticipato, Lantriceni, uomo dal carattere scontroso che finì in prigione, per un breve periodo di tempo, per aver dato una martellata ad uno dei suoi aiutanti che aveva sbagliato una bozza.
Il Cristo morto è ancora oggi fonte di grande ammirazione, anche qui la sofferenza è ben illustrata, da tanto da fa ritenere, per secoli, agli isolani di Procida che solo un prigioniero del carcere dei Borbone potesse avere tanto dolore nell'animo da essere capace di trasferirlo su una scultura.
L'opera fu ordinata dalla Congrega dei Turchini di Procida, per avere un'immagine devozionale da portare in processione che potesse simboleggiare la loro magnificenza.


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